Il ruolo dell’avvocatura nell’avanzamento dei diritti

Nell’assegnarmi questo compito, l’amico Stefano Chinotti mi ha aiutato con il riferimento a due importanti riflessioni, l’una di Francesco Bilotta sul tema del ruolo dell’avvocato nella interpretazione delle norme vigenti e l’altra di Guido Alpa sulla avvocatura italiana al servizio dei cittadini, quale relazione di apertura del trentesimo congresso nazionale forense del 2010. 

Cerco però di non rovinare queste riflessioni di altissimo livello e rimando alla lettura delle stesse se non enunciando, come abstract della riflessione di Francesco Bilotta, l’osservazione dell’essere la regula juris il risultato non solo di un processo che vede entrare prima in vigore una legge, poi intervenire l’ermeneutica dottrinale e quindi il diffondersi di una certa lettura presso i giudici grazie anche alle argomentazioni degli avvocati, ma anche un qualcosa di molto più complesso: nella formazione della regola entrano anche i fenomeni sociali diffusi, le innovazioni tecnologiche, le prassi amministrative: anche in questa fase complessa si colloca dunque il ruolo formativo e formante dell’avvocato, e si realizza quindi la funzione sociale dello stesso. 

Ricorda invece Guido Alpa, fra le molte cose, il ruolo dell’avvocato nella tutela dei diritti, che lui definisce “anima e sostegno della missione degli avvocati”, diritti intesi come affermazione dei principi della Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani nonché della Carta europea dei diritti fondamentali siglata a Nizza nel 2000 ed inclusa nella seconda parte del trattato di Lisbona che le ha riconosciuto nel 2007 formalmente un valore giuridico vincolante. 
Ma oggi non vorrei fare una sintesi di queste alte riflessioni che sono preziosissime ma che possono essere oggetto di una vostra più compiuta e completa lettura e quindi riflessione, ma per alcune considerazioni che, a un livello più elementare ma comunque, così mi pare, fondamentale, ritengo che i tempi e ciò che emerge dal contesto sociale, da qualunque parte lo si voglia considerare, ci impongono di fare.

Parto dal Codice deontologico forense, direi il nuovo Codice deontologico forense, richiamato quale fonte normativa dalla legge professionale e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 16.10.2014. 

All’art.1 c.2 il Codice deontologico nella norma che, puramente e semplicemente, ma molto significativamente, è titolata “l’avvocato” così statuisce: “l’avvocato, nell’esercizio del suo ministero vigila sulla conformità delle leggi ai principi della Costituzione e dell’Ordinamento dell’Unione europea e sul rispetto dei medesimi principi, nonché di quelli della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali a tutela e nell’interesse della parte assistita”. 

Dunque, l’avvocato “vigila” sulla conformità delle leggi: è una espressione di straordinaria forza e modernità che ci dice che la legge, e cioè l’espressione della volontà della maggioranza del popolo, non può mai violare i principi della Costituzione e dell’Ordinamento dell’Unione europea. 
Si badi bene: i principi dell’Ordinamento dell’Unione europea, tutti i principi dell’Unione europea. 
Non solo i principi delle grandi Carte sovranazionali dei diritti -che sono infatti richiamati ulteriormente, e a parte, laddove ci si riferisce per l’appunto alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, devono essere oggetto di questa vigilanza, ma tutto il contesto dei principi costituzionali e dell’ordinamento europeo. 

Questa affermazione posta all’interno dell’articolo fondamentale del Codice deontologico, con forza assolutamente straordinaria si ricollega perfettamente al principio che è stata l’elaborazione, finale da un lato, e iniziale dall’altro, di un crogiolo di riflessioni filosofiche, religiose, etiche e per l’appunto giuridiche che hanno portato, attraverso l’illuminismo, a quell’idea che è alla base dell’atto fondante della Rivoluzione francese e dello Stato democratico e cioè la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 26 agosto 1789.

Per l’appunto l’idea, l’invenzione potremmo dire, dei diritti dell’uomo e del cittadino come un qualcosa che non poteva essere violato neppure dalla maggioranza, per grande che fosse, del popolo, lo stesso popolo a cui peraltro questa dichiarazione attribuiva per la prima volta il diritto al voto e alla rappresentanza, e quindi il diritto alla legislazione. 

Non a caso si tratta di quella fase della rivoluzione che Francois Furet chiamerà “la rivoluzione degli avvocati”, perché proprio dagli avvocati era nata questa idea. 

Le solite belle parole, dirà qualcuno, la solita retorica, si penserà. 

E’ giusto dirlo perché il problema dell’essere o meno questi principi una retorica è un problema attualissimo ed uno degli argomenti che viene posto, strumentalmente e violentemente, da chi, in moltissime forme di manifestazione del pensiero politico e sociale, combatte per cercare di cancellare questi principi. 

E qui si pone il primo tema della esatta declinazione, come oggi si dice, della funzione sociale dell’avvocato: la necessità di riaffermare, non ritenendoli, perché sarebbe un grave errore, principi acquisiti – meglio:scontati, i diritti fondamentali, i diritti nella loro forma originaria, ancor prima della loro elaborazione nelle forme più evolute: affermarli anche a fronte di chi degrada strumentalmente la loro difesa a mera retorica, mentre li attacca proprio nel loro contenuto originario e fondamentale. 

Ma torneremo poi su questo argomento, pur nella assoluta brevità delle mie riflessioni. 

Abbiamo detto dell’art.1 c.2 del codice deontologico forense. 

Si dirà: “ma l’articolo parla dell’avvocato nell’esercizio del suo ministero”, non della vita sociale, personale e politica dell’avvocato; 
parla, ancora, “della tutela e dell’interesse della parte assistita”, e quindi del diritto a difendere i diritti nelle aule di giustizia, quelli e solo quelli di cui si tratta nelle aule di giustizia.

Potrei allora porre queste domande. 

Il riferimento all’ “esercizio del ministero” significa che noi siamo per la tutela dei diritti, quelli intangibili -non violabili neppure dalla volontà di maggioranze, di parlamento, e meno ancora, di piazza, - solo nelle aule di giustizia ma poi al di fuori siamo liberi di professare qualunque cosa? 
Ed ancora, il riferimento “alla tutela dell’assistito” significa che nell’ambito dei principi fondamentali (della Costituzione, dell’Ordinamento europeo, della Convenzione per i diritti umani) noi siamo solo per la tutela dell’art.24 della Costituzione, del diritto di difesa dunque, dell’art. 111, del diritto al giusto processo in funzione dei diversi diritti che contribuiamo a meglio comprendere e a far evolvere, e possiamo dunque occuparci di ciò che costituzionalmente definisce l’esercizio della nostra professione, senza troppo preoccuparci se qualcuno degli articoli e dei diritti , tra quelli che Costantino Mortati chiamava quali integranti la costituzione materiale, viene minacciato e posto in pericolo?

Sono domande, quelle che io adesso formulo, che, all’evidenza, imporrebbero risposte nette e univoche, di solare evidenza: come infatti è possibile affermare che quella che è una funzione, vocazione, missione, definizione istituzionale del ruolo ( meglio: del “ ministero”) di avvocato all’interno di un’aula di giustizia, possa consentire allo stesso tempo di essere, da cittadino, una persona che vìola i principi che dovrebbe difendere quale sua funzione principale nell’esercizio della professione?

L’art.1 del codice deontologico nel definire questa funzione di vigilanza sulla conformità delle leggi ai principi costituzionali ed europei, ci impone dunque come cittadini di essere altrettanto vigili e operanti a difesa di questi principi. 

Chi è al di fuori di questa prospettiva è puramente e semplicemente al di fuori della nozione di avvocato: certamente potrà essere iscritto all’albo, potrà come cittadino senza nessuna sanzione che gli derivi da questo codice deontologico dire cose contrastanti con quelle che dovrebbe professare come prima finalità della sua vita professionale, potrà essere tecnicamente il più bravo e il più famoso degli avvocati. 

Ma puramente e semplicemente, e questo perché ce lo dice il Codice deontologico, non sarà un avvocato. 

Non si tratta di una questione sanzionatoria: è ovvio che non possiamo porre il tema sul piano della repressione disciplinare e imbastire processi a carico di chi nella vita personale o sociale o politica non tutela o addirittura combatte i principi su cui dovrebbe vigilare nel corso della sua professione, anzi i principi in funzione dei quali dovrebbe vigilare sulle leggi affinchè le leggi, pur approvate dal parlamento, non giungano a violarli. 
Non è il tema sanzionatorio o repressivo che si pone: ma il tema di affermare in maniera chiara e forte che non esiste una legittimità e una compatibilità etica e deontologica tra la professione e la negazione dei diritti. 

Ed il secondo tema, in questa breve riflessione, semplice e generale, ma spero e penso non semplicistica né generica, è quello che attiene alla ulteriore domanda che ponevo e cioè se questo compito di tutelare i diritti possa essere inteso come una tutela selettiva di questi diritti, di modo che possiamo preoccuparci solo dei nostri diritti, del diritto di difesa e del diritto al giusto processo, ma non di altri. 

Ed allora la risposta che ci viene dalla storia dello Stato di diritto, e ancora dalla lettura della Costituzione e delle Carte dei diritti fondamentali, è che i principi che fondano le dichiarazioni dei diritti dell’uomo, che possiamo ancora enunciare nei principi di libertà, eguaglianza e fraternità, così come poi si sono sviluppati e articolati attraverso la comprensione che abbiamo avuto della natura della persona, e con tutte le diverse declinazioni che l’evoluzione sociale ci segnala, non possono essere divisibili: il principio della “rivoluzione degli avvocati”, e quindi ancora oggi della funzione sociale degli avvocati, è quello di affermare da un lato l’intangibilità di questi principi anche di fronte ad una volontà della maggioranza che sia contro di essi; dall’altro quello di affermare la loro indivisibilità per cui non potremmo mai affermare e difendere con forza il diritto alla difesa –che è una articolazione fondamentale del diritto di libertà- e il diritto al giusto processo (e ad esempio non potremo mai difenderli di fronte all’affermazione che le esigenze, o pretese esigenze, di tutela dell’ordine sociale impongono una deroga e una rinuncia agli stessi) senza difendere anche gli altri principi. 

Ad esempio, ma faccio due citazioni del tutto casuali e come esempi di pura invenzione, non potremmo mai affermare che sono scissi dagli altri principi, e che dunque possono restare senza difesa, senza che questi invece comporti anche una lesione di tutti gli altri diritti, il principio costituzionale della progressività della imposizione tributaria ex art.53, che è una delle forme fondamentali della affermazione della solidarietà e della giustizia sociale o il principio costituzionale del divieto del vincolo di mandato di cui all’art.67 della costituzione che è stato uno dei primissimi principi che i pensatori inglesi e francesi del 700, pur divisi su altri aspetti nella creazione dello Stato di diritto, hanno affermato come elemento imprescindibile di una reale democrazia. 
Non ho parlato, come avete visto, del tema di questo Convegno, che è manifestazione di una così fondamentale conquista, che dovrà essere consolidata, rafforzata, meglio scritta, integrata sui temi non risolti che sono posti alla vostra attenzione e che è quella di cui oggi si tratta: altri parleranno con una competenza e una esperienza che io assolutamente non ho, spiegandoci come si è esercitata e come si eserciterà la funzione dell’avvocato, quanto all’evoluzione del diritto e quanto al contesto sociale sulle unioni civili e sugli ulteriori riconoscimenti che dovranno esserci su questo tema per garantire i diritti dei cittadini. 

Ho detto solo, e così concludo, di quelli che mi sembrano dei principi elementari ma fondamentali per individuare il concetto di funzione sociale dell’avvocato, e che oggi mi sembrano messi in discussione e in pericolo. 

Certo, qualcuno dirà, e nel concludere mi ricollego al rilievo che ho fatto prima, la solita citazione retorica: solo che questo rimprovero viene mosso proprio da coloro che, lucidamente –e spesso violentemente- cercano di far venir meno questo sistema e questi principi, cosicché anche l’accusa di retorica è un segnale, e così replico alla mia stessa obiezione, di fondatezza di quello che stiamo dicendo: perché i diritti non sono irreversibili e se anche sono iscritti nella nostra stessa natura biologica, che è l’immagine della nostra uguaglianza, possono venir meno in ogni momento. 
D’altro canto, se ognuno di noi si gira alla storia delle generazioni che ci hanno preceduto, vede guerre, non guardate alla televisione ma subite in trincea, in prigionia o in città sotto i bombardamenti, e può comprendere senza molti sforzi il drammatico prezzo che ha comportato la conquista dei diritti, per cui la retorica è l’ultima della preoccupazioni. 

È invece la vigilanza sui principi fondamentali, dallo loro enunciazione basica alla loro articolazione più complessa e più evoluta, che è per ognuno di noi irrinunciabile e che ci dice meglio di ogni altra cosa quale sia la nostra vera funzione sociale.

Èd è di certo irrinunciabile per chi voglia oggi essere veramente un avvocato.