"E' nel principio del dubbio il legame tra scienza e diritto".

Contributo di Mauro Angarano, pubblicato da L'Eco di Bergamo il 10 luglio 2020 (Clicca qui per leggere a pagina del giornale)

Il 21 febbraio scorso, in occasione di un evento formativo organizzato dalla Scuola Forense di Bergamo, una platea di un centinaio di avvocati ha incontrato il professor Giuseppe Remuzzi per parlare del rapporto tra scienza e giustizia, e in particolare della relazione tra responsabilità penale in campo medico e linee guida. Linee guida e scienza. Proprio su questo tema, dopo l’esperienza drammatica del covid19, vogliamo rilanciare una breve riflessione.

La Legge stabilisce che il medico, nella propria attività di cura, deve attenersi alle linee guida predisposte dall’Istituto Superiore di Sanità o comunque, in mancanza di queste, alle raccomandazioni previste dalle società scientifiche.

Da circa tre anni le linee guida sono parte di una norma, l’art.590 sexies del codice penale: non c’è responsabilità del medico o dell’infermiere, per le lesioni o la morte del paziente, quando siano state rispettate le “raccomandazioni previste dalle linee guida definite e pubblicate ai sensi di legge“.

Il nostro convegno puntava a capire e spiegare come vengono elaborate queste linee guida e a celebrare un po’ questa norma che sembra “liberare” il giudice da una difficile e incerta valutazione discrezionale, offrendogli un criterio di giudizio certo e predefinito.

Ma Giuseppe Remuzzi con il suo intervento ci aveva sorpreso da subito: non lasciando spazio ad una celebrazione, tutt’altro. Ed invece aprendoci, come i veri scienziati sanno fare, al dubbio e alla comprensione dei limiti di quello che a noi sembrava certo.

Pur dando per scontato, e riconoscendo, che un medico deve conoscere, e bene, le linee guida, il professore ha sottolineato più volte il rischio che si corre quando il medico stesso si adagia, in maniera un po’ burocratica, su ciò che le linee guida affermano, magari anche per difendersi dal punto di vista della responsabilità penale e civile, così non comprendendo la possibile novità della patologia che deve affrontare e quindi la necessità di andare oltre le linee guida stesse per portare i maggiori benefici possibili ai pazienti.

Avremmo saputo di lì a pochissimo che proprio in quelle ore stava scoppiando la pandemia da Covid-19.

Avremmo poi saputo che, sempre in quelle ore, una dottoressa di Codogno aveva diagnosticato il Coronavirus, attraverso esami non previsti dai  protocolli e andando al di là delle linee guida, rilevando quello che di anomalo c’era e che di non spiegato aveva visto in attacchi apparentemente influenzali.

Avrebbero fatto la stessa cosa poco tempo dopo, andando anch’essi oltre le linee guida, clinici ed anatomopatologi dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo: partendo da ciò che era inspiegabile in quelle tragiche influenze, individuarono una prima fase della cura che, se purtroppo non fu sufficiente per evitare la morte di molti, fu efficace per curarne molti di più e di certo per arginare il virus.

In molti tra quelli presenti quel pomeriggio di febbraio abbiamo ripensato alle parole di Giuseppe Remuzzi sulla necessità di conoscere le linee guida (diversamente si sarebbe solo inconsapevoli, ed incompetenti), ma anche di saper andare oltre quando la realtà segnala una diversa evidenza.

E così capire e quindi fare scienza, e soprattutto curare.

Quelle frasi sono sembrate, nel dopo, profetiche ma in realtà spiegavano un principio fondamentale, semplice e complesso nello stesso tempo: l’impossibilità di ridurre la scienza a un qualcosa di acquisito per sempre, perché non sarebbe più scienza.

Spiegavano il rischio che deriva dal consolidare una conoscenza che invece, proprio perché frutto del superamento di precedenti conoscenze, non può che essere, a sua volta, sempre messa in discussione.

Alla fine, il legame (necessario) che volevamo cercare tra scienza e diritto non era nella tranquillizzante previsione di una norma, che sembrava risolvere problemi di giudizio e dare certezze, ma stava nel dubbio: il dubbio del medico e dello scienziato, figlio di quella rivoluzione del pensiero da cui è nato anche il principio del dubbio da applicare nel processo. Quello che, nonostante tante voci contrarie, la storia ha dimostrato essere l’unica forma di esercizio corretto della giustizia.    

Mauro Angarano
Avvocato - Scuola Forense di Bergamo